Domenica 5 luglio, Ripe San Ginesio — Silvano Agosti attende paziente che le campane smettano di suonare; una prima volta, una seconda e così via; inizia così la domenica di Borgofuturo. Le persone ascoltano attente le parole di Agosti, dolci e al contempo dure perché mettono in luce delle trappole in cui troppo spesso cadiamo soprattutto in tempi critici in cui sentiamo più forte il dolore, la solitudine. Parole che secondo il regista nascondono gabbie infernali, un sapere arbitrario che non riflette sapienza ma meccanismi. Tendiamo troppo spesso a separare e differenziare, ma in realtà termini diversi spesso nascondono la stessa sostanza. E così dietro alla parola “scuola” per Agosti si nasconde la stessa volontà dei campi di sterminio: abbattere la creatività e programmare l’essere umano. «Gli unici sopravvissuti ai campi di sterminio sono gli analfabeti; Socrate, Maometto, Gesù». Affermazioni forti e difficili da digerire. L’obiettivo allora dev’essere ricondurre l’essere umano a un rapporto semplice e immediato con la natura delle cose. Agosti si è poi trasferito allo Spazio Incontri dove l’atmosfera si è subito fatta elettrica. L’autore ha provocato il pubblico, incantandolo e spiazzandolo con le sue massime di saggezza, a tratti popolari a tratti rivelatrici. Viene proiettato un estratto dell’intervista di Franck, il bambino di “D’amore si vive” e Agosti ci invita tutti a voler essere liberi di vivere, amare e pensare come lui. Bello scambio di vedute tra il regista e Franco Arminio, che ha acceso nuovamente il dibattito sulla centralità del linguaggio come mezzo di trasmissione culturale. Forse punto dal vivo (oltre a essere paesologo lavora anche come insegnante di scuola elementare) Arminio chiede ad Agosti di dare il giusto peso alle parole e di evitare di scoraggiare il pubblico a studiare, a frequentare la scuola. In piedi fra il pubblico, Arminio chiede di spostare il punto di vista del discorso: non dobbiamo abbandonare la scuola, è quest’ultima che deve ridare centralità alla cultura, attraverso il potere del linguaggio. Per dirla con Michele Apicella in Palombella Rossa, «le parole sono importanti!» E sulla scelta della parola giusta si è soffermato anche Serge Latouche, protagonista applauditissimo dell’incontro centrale del festival: parlare di “sviluppo sostenibile” è un controsenso, dato che il concetto di sviluppo è figlio dell’immaginario della sfrenata crescita economica. Un modello di produttività, oggi in crisi, che ha colonizzato il modo di pensare occidentale. Per opporci all’ideologia dominante del consumo fine a se stesso dobbiamo partire prima di tutto da una svolta semantica, che è anche politica e sociale, quella di utilizzare un’espressione sottrattiva come “decrescita” in un’accezione positiva e di porsi criticamente davanti alle implicazioni negative della “crescita”. Con la scelta di un singolo termine si afferma dunque una scelta antropologica, per aprire a una società basata su presupposti diversi ed ecologicamente possibili. L’importanza delle parole, l’uso dei termini adatti sono anche le fondamenta della poetica di Alessandro Bergonzoni, che ieri ha invitato il pubblico a smettere di fruire una “cultura colluttoria”: la cultura non va bevuta e poi risputata, «dobbiamo deglutire, digerire i vari Bergonzoni, Agosti, Latouche…». Uno spettacolo sulla decostruzione del senso comune: scambiare, svuotare, unire, separare, connettere le parole per dar loro la giusta importanza, una volta ricomposte in modi insoliti. Bergonzoni continua a giocare con il senso e con il pubblico, ci chiede di smettere di applaudire, ci invita ad assumere la “posizione del dizionario” nel kamasutra esistenziale: parole sopra e sotto per sfuggire all’ignoranza biadesiva che attacca da tutte le parti. È tempo di sciogliere la divisione dei ruoli politici: salute, cultura, istruzione, difesa guardano tutti fondamentalmente alla bellezza. È una questione poetica: «il magistrato che è in me deve essere poeticamente corretto, artisticamente superiore: è un tema di umanità e l’umanità mi ha rotto i coglioni […] iniziamo a parlare di sovrumanità». E come possiamo iniziare se non facendo «un passo in altro», sentendo la vita addosso e iniziando a costruire insieme il senso delle parole che usiamo? La risposta la offre Macao con la sua prima produzione: “Open”, un’opera collettiva in cui ogni partecipante ha dato il suo piccolo apporto e particolare senso alla creazione artistica, e dalla moltiplicazione dei punti di vista si espande il suo valore. “Un film collettivo non è da tutti. é di tutti. Ed è proprio nella visione collettiva che si produce e trasforma il senso. Si parla di apertura in tutte le forme: lo scambio e la contaminazione, la riapertura degli spazi abbandonati in cui poter far ripartire la cultura e il confronto con gli altri, partendo dal basso, dalla reale necessità di cambiamento. E il cambiamento è anche rinuncia, abbandono degli schemi. Con “Supra Natura” Dem e Seth Morley parlano proprio di questo percorso. Un esperimento affascinante in cui le immagini visionarie e potenti dicono tutto facendo a meno delle parole. È bello che tutto ciò accada nella nostra regione, l’unica al plurale. Un plurale che vuole e deve veicolare una consapevolezza interiore del territorio: ecologia non significa soltanto rispetto per l’ambiente, ma innanzitutto smettere di considerare se stessi ‘altro’ rispetto a quell’ambiente. Il territorio non ci è esterno, l’uomo ne è parte integrante, e dialoga continuamente con il resto all’interno di un unico grande organismo. Plurali le voci che ci provengono dalle esperienze marchigiane ospiti a Ripe: da un lato le testimonianze delle 17 donne scrittrici di “Femminile plurale” che nella giornata di sabato hanno raccontato le Marche nella loro complessità geopoetica, attraverso storie diverse, tanto nelle forme come nei contenuti. Dall’altro lato il progetto collettivo di escursioni di “Alta via delle Marche” ci ha condotto in alto, sui picchi dei nostri monti, seguendo le tracce degli escursionisti che hanno attraversato la spina dorsale della regione da nord a sud, in 25 giorni di cammino.